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Dicitencello Vuje. Se una canzone del passato rende attuale il presente digitale – di Antonio Votino

 

 

Se una canzone del passato rende attuale il presente digitale


Dicitencello Vuje


primo luglio millenovecentotrenta al Caffè Gambrinus di Napoli

Rodolfo Falvo e Enzo Fusco

 


di Antonio Votino, Napoli

 

Spesso mi fermo a pensare come sarebbe stata la storia di alcuni personagi che hanno fatto grandi cose al loro tempo se avessero avuto a disposizione la tecnologia di oggi. Ci sono poi alcuni accadimenti della mia vita quotidiana che impongono questo esercizio di “navigazione assistita” nel passato come un obbligo per me.

Il primo luglio del 1930 due signori, amici nella vita e frequentatori entrambi dello storico caffè Gambrinus di Napoli, alla fine di una passeggiata che li portava da via Roma all’amato caffè, si incontrano e si siedono a terzo tavolino a sinistra, quello più vicino alla strada, verso il vertice del caffè che affaccia sulla storica piazza del Plebiscito.

Rodolfo Falvo e Enzo Fusco chiacchierano di tutto, dell’imminente compleanno di Falvo, che lui vorrebbe festeggiare a Portici da amici, del cambiamento che il fascismo sta portando al regno ed anche di donne.

 

Rodolfo Falvo dopo la morte prematura del padre è stato costretto ad impiegarsi presso l’ufficio delle Regie Poste, incarico che abbandona appena scopre la sua vera passione, la musica. Fusco è impiegato alle ferrovie, un amministrativo poco incline agli schemi ed al tran tran quotidiano, Enzo Fusco è anche un poeta, scrive nei ritagli di tempo, quando il lavoro e la famiglia lo consentono.

Sono tutti e due poco più di trentenni ma vivono immersi in quel fiorire di grandi pensieri e passioni che la prima parte del secolo scorso ha portato a Napoli, insieme con il meglio della cultura europea, uno dei periodi più interessanti per la storia culturale contemporanea italiana.

Fusco però ha un argomento che non riesce a far emergere con la confidenza che è solita all’amico, oggi ha rivisto una donna, che chiameremo Maria Lisetta, di cui è profondamente innamorato, un amore vero e profondo che gli toglie il sonno, non lo fa vivere sereno, che cancella altri pensieri e gioie. Lui però è sempre stato timido con le donne e con il suo carattere introverso e cupo, ha fatto solo errori nell’approccio con lei, fino a meritarsi finanche di essere allontanato con il disprezzo dello sguardo che le donne sanno ben dispensare. Oggi sarebbe un amico defollowato o bloccato nei social network, destinato all’oblio di sapere da altri cosa fa la sua lei, vittima del gioco perverso del “non seguirmi ma leggimi”.

Rodolfo Falvo intuisce quanto l’amico sta per dirgli, lui è di carattere aperto, gioviale, un gran sciupafemmine e poi sa scrivere canzoni che inventa per conquistare la bella di turno, ha perfino scritto una canzone pubblicitaria, ‘O liquore Mago, che in tanti canticchiano.

Oggi queste due amici avrebbero messo mano ai loro smartphone per cercare su Facebook o Twitter gli amici, o meglio gli sconosciuti e soprattutto le sconosciute, magari geolocalizzando quelle più vicine, da coinvolgere in una chat che rendesse quel tempo passato al tavolino del caffe’ più gradevole. Avrebbero poi navigato su acchiappanze.it ed altri ameni siti web alla ricerca di consigli per far innamorare le donne, inutili quanto nefasti. Infine sarebbero approdati su un sito di incontri, per trovare e provare la sensazione forte di un amore mercenario.

Invece no,la tecnologia di cui dispongono consente solo a Fusco di tirare fuori dalla giacca un blocchetto di fogli di carta e iniziare a scrivere, ispirato anche dalla figura femminile che aspetta l’autobus alla fermata di fronte al caffè che è tanto somigliate alla sua amata.

Falvo lo guarda e come spesso accade attende che l’amico termini la sua poesia, ne ha già scritte tante allo stesso modo, per leggere il componimento, anche questa volta fa il solito gesto di tirare via il foglio dalla matita di Fusco non appena sente il suo lungo sospiro che segna la fine dell’impegno.

Rodolfo Falvo legge e capisce di avere davanti agli occhi, nero su bianco, più di una poesia, è la disperata dichiarazione d’amore di un uomo nei confronti della donna amata, resa in maniera indiretta. L’uomo infatti parla rivolgendosi ad un’amica dell’amata riferendosi alla donna desiderata con l’appellativo cumpagna vosta (vostra amica). L’uomo le chiede di riferirle che per lei ha perso il sonno e la fantasia (aggio perduto ‘o suonno e ‘a fantasia), che la passione “più forte di una catena” (è na passione, cchiù forte ‘e na catena) lo tormenta e non lo fa più vivere (ca mme turmenta ll’anema… e nun mme fa campá).

Soltanto nell’ultimo verso del brano il protagonista confessa di amare in realtà, la sua interlocutrice e quando vede una lacrima sul suo volto (“na lacrima lucente v’è caduta”) le dice che è proprio lei la donna che ama (“levammece sta maschera, dicimme ‘a verità”, togliamoci questa maschera, diciamo la verità).

Falvo di getto compone la musica e rivolta all’amico la canta tutta d’un fiato.

Ecco come è nata una delle canzoni napoletane più cantate e che secondo me rappresenta una delle più belle canzoni d’amore mai scritte.

Io ho la possibilità di condividerla usando le moderne tecnologie digitali, voi che leggete oltre a condividere con chi volete, se lo credete, abbiate un pensiero per questi due grandi artisti, figli di un tempo passato, che ci hanno lasciato un opera attuale oggi e per il futuro.

 

 

Dicitencello a ‘sta cumpagna vosta

ch’aggio perduto ‘o suonno e ‘a fantasia… 
ch”a penzo sempe,
ch’è tutt”a vita mia…
I’ nce ‘o vvulesse dicere,
ma nun ce ‘o ssaccio dí…
‘A voglio bene… 
‘A voglio bene assaje!
Dicitencello vuje ca 
nun mm”a scordo maje.
E’ na passione,
cchiù forte ‘e na catena,
ca mme turmenta ll’anema…
e nun mme fa campá!…

Na lácrema lucente v’è caduta…
dicíteme nu poco: a che penzate?!
Cu st’uocchie doce,
vuje sola mme guardate…
Levámmoce ‘sta maschera,
dicimmo ‘a veritá…
Te voglio bene… Te voglio bene assaje…
Si’ tu chesta catena 
ca nun se spezza maje!
Suonno gentile, 
suspiro mio carnale…
Te cerco comm’a ll’aria:
Te voglio pe’ campá!..

 

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