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Sanremo:Festival concluso tra lacrime e fischi- di Saverio Lombardo

 

 

 

SANREMO: FESTIVAL CONCLUSO TRA LACRIME E FISCHI

Rai e dirigenti nel caos

 

Di SAVERIO LOMBARDO


Il Festival della Canzone italiana si è concluso sabato, ma gli echi – o meglio gli strascichi – permangono e mettono in discussione la stessa kermesse sanremese, se non l’esistenza, quanto meno le modalità, la dirigenza, la conduzione. E riaccendono il dibattito attorno alla Rai, al suo essere servizio pubblico, alle alte retribuzioni erogate a manager, funzionari, presentatori, agenti (categoria potentissima, che impone scelte e uomini ma che rimane sempre nell’ombra magari fino a quando non se ne scoprono gli illeciti, come è accaduto per Lele Mora). Una Rai che viene messa in discussione nella sua – per definizione – dimensione, non vogliamo dire missione, di servizio pubblico, che la legittima nella richiesta di un canone equiparato a tributo, una tassa che lievita di anno in anno, pesa sulle spalle degli Italiani ora stremati dalla crisi e giustamente scandalizzati  per i cachet concessi a divi e stelline, a modelle, a pin-up  che conquistano la notorietà a prezzo di esibizioni procaci ai limiti dell’osceno e dello scandalo, su ci si tace – chi tace – solo per paura di essere tacciato di moralismo.  Se tutto questo serve a stipulare sontuosi contratti di pubblicità, allora non si comprende perché si aumenta il canone, ignorando che la televisione è ormai un bene indispensabile per chiunque – e soprattutto per i poveri e i meno acculturati – nell’era della comunicazione. La 62^ edizione si è conclusa tra lacrime, quelle, ovvie e legittime, della vincitrice Emma, una ragazza toscana di 28 anni, seguita dalle tentenni Arisa e Noemi, tutte cantanti delle nuove leve, uscite dalla nidiata di “X  Factor”, una competizione promossa da Canale 5 della concorrente Mediaset e che scopre e valorizza talenti, giovani che si impegnano e mettono a frutto i loro doni naturali, invece di voler mantenere sugli schermi personaggi al tramonto, soubrettes  sciroccate, appesantite di trucco e sfigurate dalla chirurgia plastica.  Certo, non bisogna disprezzare i miti, chi ha fatto la storia, chi si è conquistato una solida fama.

Celentano è tra questi. Ma non è il solo.E’ ben vero che la sua presenza a Sanremo ha attratto gli investimenti pubblicitari e una massa di telespettatori (fino a 17 milioni e oltre il 50% dello share), entità diminuite nelle serate in cui era assente, ma è altrettanto vero che neppure uno come  Celentano possa usare la tv pubblica per lanciare “insulti a destra e a manca”, come scrive Ernesto Galli Della  Loggia sul “Corriere della Sera”, in aggiunta “al turpiloquio delle due “Iene” (Paolo e Luca della omonima trasmissione), alle esibizioni fortemente osé delle vallette, apparse quasi superflue, e in particolare una, la Ceca Ivana Mzorova, presso che  inutile. Non si tratta tanto di disquisire o polemizzare sulle uscite del cantante Celentano, quanto sul fatto che il cantante, concionando e facendo il predicatore,nuoce a se stesso. In questa apparizione a Sanremo ha spinto al limite del naufragio se steso, l’amico presentatore Gianni  Morandi – rivelatosi stanco, senza sprint, quasi dimesso – l’organizzatore del Festival ,Mazzi, il direttore della Rete Uno RAI, Mauro Mazza, e tutti gli altri dirigenti, comprimari, conduttori,  comparse, opinionisti, fin forse agli uscieri, accorsi in massa a Sanremo una settimana prima e piazzati in prima fila, senza farsi prendere dallo scrupolo nella serata inaugurale di martedì di disapprovare l’assurda filippica di Adriano sui preti, sui giornali cattolici, su giornalisti. Non sarà certo la sua richiesta a far chiudere giornali cattolici così significativi e diffusi, giornali che fanno informazione e cultura e 360 gradi, né si tratta di concedergli il perdono e riallacciare il dialogo. I cattolici hanno già perdonato . Il dialogo non è certo interrotto. Tra cattolici c’è qualcosa di più. Si va oltre. Le offese sono dimenticate. Ma l’uomo Celentano  esce sconfitto, così come esce sconfitto l’uomo Morandi. Esce sconfitta la Rai. Dal primo – da Adriano – ci attendiamo di vedere come ne uscirà, con quali canzoni, dischi, cd, e quali iniziative, dall’alto dei suoi consistenti affari in comunione con la moglie Claudio Mori , forti di un patrimonio rilevante in proprietà e di capitali.

Morandi ha già rinunciato a un eventuale terzo incarico come presentatore. Idem Mazzi. Ma forse altri dirigenti Rai si troveranno in difficoltà, dopo che lo stesso Festival era stato “commissariato” dalla Dg Lorenza Lei. Il CdA è in scadenza. Molti premono per ricambi di fondo. E proprio ERNESTO Galli Della Loggia, docente e filosofo, chiede: “ora restituiteci la Rai”. E riassume:” Il turpiloquio, i cachet astronomici, i balbettii, il Festival di Sanremo in se stesso, sono il simbolo di quel che l’emittente è diventata negli anni. L’Italia è in mille modi viva. La televisione che dovrebbe darle voce è pietrificata e senz’anima. Ridotta così dai paryiti e dai loro capi, mai sazi”. La lottizzazione è una dei mali. Un male interno. L’altro è l’audience, l’auditel, lo share. Si riuscirà a liberarcene, al di là e al di fuori di Celentano e delle canzoni? A non permettere che ognuno faccia il comodo suo? A non doversi esporre alla satira e all’ironia, come quella che ne fatto un altro arguto giornalista parlando  Rocco Papaleo, la spalla di Morandi, un attore che  tra comicità e semplicità ha sorretto la barca sanremese nei lunghi  cinque giorni quando ne bastavano tre, tanto che se n’è impiegato uno in sfilate delle prossime trasmissioni. “Rocco Papaleo – dice  Francesco Merlo –  “somiglia a Mario Monti : trae la sua forza dalla debolezza da tutti gli altri ed esibisce una sicura tecnicalità di teatrante in mezzo a gente che non sa fare il proprio mestiere e forse nessun mestiere. Nel gioco tra festival e paese Morandi è Pier Luigi Bersani”.   E un altro commentare  parla di “Ultimo festival della Vecchiaia”. Questo succede quando si dà il giocattolo in mano ai ragazzini. C’è da augurarsi che la Rai non venga presa per un giocattolo, né come terreno di selvaggia lottizzazione.

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